Vila-Matas y Marechal
Qualche articolo che è uscito sui giornali:
(al.pe) Questo capolavoro argentino è una storia «entusiasta»:
«Una bara di modesta fattura e tale leggerezza che sembrava portare non la
carne sconfitta di un uomo, ma la delicata materia di un poema concluso. La
primavera rideva sopra le tombe». Dietro ai personaggi intuiamo protagonisti
della vita letteraria come Borges. Una scrittura raffinata, con suggestioni
epiche: «Agreste lettore, se tra le tue virtù vantassi quella del volatile,
sono certo che il tuo petto, soggiogato dalla meccanica dell’orgoglio, si
sarebbe gonfiato dinanzi alla visione. Navi nere e roboanti, ancorate nel porto
di Santa Maria di Buenos Aires, riversavano sui moli la messe industriale di
due emisferi». Oltre la verticalità lirica dello stile, la narrazione riporta
sempre rasoterra: «vago presentimento di luce… il mondo era una rosa, una
melagrana, una pipa, un libro. Sospeso a metà fra la premura del sonno che
ancora opprimeva la carne e il richiamo del mondo che già gli barbugliava i
primi nomi». Un libro scattante, che sa rallentare per creare attrito
Leopoldo Marechal
Adán Buenosayres
Valecchi – 2011
pp.730 – euro21
L’ultimo romanzo di uno scrittore limpido, senza effetti
speciali o ammiccamenti commerciali, ma con forse le uniche qualità necessarie
all’artista, la fantasia e il gesto. Il personaggio di Enrique Vila-Matas,
questa volta, è un ex-editore, un uomo colto ma inappagato, in crisi davanti
alla confusione generata dai mezzi digitali. Un individuo schivo e ruvido, complesso
e dall’«eroica fibra» che, tra le varie ossessioni, coltiva una sua teoria del
romanzo: «i cinque elementi che considerava imprescindibili nel romanzo del
futuro: intertestualità; relazioni con l’alta poesia; coscienza di un paesaggio
morale in rovina; leggera superiorità dello stile sulla trama; scrittura vista
come orologio che avanza». E così va alla ricerca dello scrittore geniale che
non ha saputo pubblicare, un po’ narciso e maniacale, ex bevitore diventato
misantropo, è in effetti un Ulisse «scardinato» . In una Barcellona incongruamente
piovosa, Vila-Matas ambienta l’apocalissi dell’intelligenza, lasciando che il
suo personaggio trovi riscatto nella letteratura, con i suoi amori disordinati
- da Magris a Perec, dal cinema a Bob Dylan, dai francesi agli inglesi, da Paul
Auster fino a risalire a Proust e Rimbaud, da Boccaccio a Blanchot, da Leopardi
all’amato Yeats - che lo portano fino a Joyce, a Dublino, per celebrare il
funerale della stampa («dovrà decidersi tra l’attività che presuppone lo
sfogliare un libro – cioè rimanere ancora, eroicamente, nell’era Gutemberg -
oppure fare una ricerca in Rete ed entrare in pieno nella rivoluzione digitale.
Per qualche istante, prova la sensazione di trovarsi proprio nel centro del
ponte immaginario che unisce le due epoche. E poi considera che, nel suo caso
specifico, ricorrere al libro è più rapido, visto che ce l’ha lì, nella sua
biblioteca… ricorda una frase di Cortázar udita misteriosamente nella
metropolitana di Parigi: Un ponte è un uomo che attraversa un ponte»),
abbandonandolo però ai suoi «fantasmi umidi», ai suoi sospiri: «L’acqua cade su
Barcellona con sconosciuta rabbia e violenza. Lo pervade all’improvviso una
sensazione di soffocamento e al tempo stesso gli sembra di essere perfettamente
in grado di attraversare le pareti», mentre «nel pericoloso quartiere infantile
che si trova ai confini della mente, lì dove sa che in ogni momento può perdersi
per sempre… ricorda, per esempio, di avere un’intelligenza morale». Una
scrittura drenante, che frena e fa attrito, e spesso sfora nella poesia e nella
filosofia: «nulla ci dice dove ci troviamo e ogni momento è un luogo in cui non
siamo mai stati», perché «è tipico dell’immaginazione trovarsi sempre alla fine
di un’epoca». Un libro che contiene molti altri libri, divertente, a metà
strada tra Moravia e Nabokov, passando per Mark Strand: «la ricerca della
leggerezza come reazione al peso di vivere».
Alberto Pellegatta
Enrique Vila-Matas
Dublinesque
Feltrinelli – 2011
pp.246 – e18
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