Salons di Stendhal
La parte centrale raccoglie molti interventi sul Salon del ‘24. Disinvolto e appassionato, quasi sperimentale, Stendhal ci accompagna per le sale del Louvre schierandosi con l’arte nuova, coi refusé, contro i classicisti. Esplicito il metodo: «mi sono ben guardato dall’acquistare l’opuscolo... Volevo che i miei occhi, indipendenti da vane reputazioni, non fossero attratti che dal merito. Ecco il principale difetto che mi rende sgradito nel mondo, soddisfatto della mia umile fortuna, colmo d’orgoglio e senza chiedere nulla, non risparmio che ciò che amo, e non amo che il genio. Perdonatemi; amo i giovani pittori che hanno del fuoco». Stroncature eccellenti (Constable, Vernet) alternano qualche sopravvissuto: Poussin, Canova e Hayez, in un sistema di lucide intuizioni. Chi giudica preferisce un «giovane candidato, se costui lavora secondo la sua maniera, ma il genio non imita alcuno, e meno che meno gli accademici». Non è questione di eleganza: «gettate in prigione l’uomo più ordinario, ditegli che riavrà la libertà se sarà in grado d’esporre una figura nuda... Sarete stupitissimi di vedere il prigioniero ritornare in circolazione in due o tre anni».
Infine, nell’ultimo saggio, ci da qualche consiglio: «non leggere mai le chiacchiere sulle arti, scritte, in gran parte, da gente senza una missione, ovvero che non ha mai dipinto un brutto quadro… la ripetizione è la figura retorica prediletta, per questo assistiamo all’affermazione di tanti grandi, sostenuti da trenta articoli». Inoltre, «l’ammirazione senza discernimento perfino di Raffaello» educa dei «cattivi pittori», animati da un sinistro «spirito di consorteria», da un «impulso artificiale». La conclusione è una teoria economica della mediocrità: le informazioni inutili riducono lo spazio che la memoria può concedere alla conoscenza.
“Gazzetta di Parma” 9-8-06
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