Dio la benedica di Kurt Vonnegut

«Uno dei protagonisti di questa storia è una grossa somma di denaro», inizia così Dio la benedica, Mr. Rosewater, l’ultimo romanzo stampato in Italia da Kurt Vonnegut, ironico autore americano di grande fantasia. La vicenda è quella di una strana fondazione e del suo presidente, un reduce di guerra che spende milioni di dollari l’anno per aiutare i poveri nelle maniere più grottesche («la Fondazione gli aveva concesso un finanziamento per la morfina»). Non è solo il racconto di un avido avvocato che mette in pratica i consigli del suo professore di Diritto, sottraendo al legittimo erede il capitale dopo averlo fatto dichiarare pazzo («un avvocato dovrebbe individuare quelle situazioni nelle quali ingenti somme di denaro stanno per cambiare di mano, uno sveglio s’impadronirà di quel momento, prendendo una parte del tesoro»), è una riflessione sul concetto di follia che, al di là delle implicazioni morali del discorso di Vonnegut, sembra ricavata da Foucault. Chi è alla fine il folle, un miliardario che aiuta i poveri o chi cerca di internarlo per mettere le mani sul suo patrimonio? Questo è il paradosso delle nostre società, in cui il pazzo è il benefattore. Storia di un capitale come tanti, «messo insieme da un giovane agricoltore cristiano, stitico e privo di sense of humour che si era dato alle bustarelle e alle speculazioni durante la Guerra civile. Un gruppo di rapaci cittadini sono giunti a controllare tutto. Così fu creato il sistema di classe americano, stupido, feroce, noioso, inutile e assolutamente inadeguato», scrive nel suo testamento il presidente Rosewater. Le idee anarcoidi dell’anomalo capitalista rendono possibile l’assurdo: «credo che lo scopo principale dell’esercito sia quello di ficcare gli americani poveri in abiti puliti, in modo tale che gli americani ricchi ne possano sopportare la vista». Lucido nei confronti della psichiatria («il piacere più squisito nell’esercizio della medicina consiste nello spingere il profano nella direzione del terrore, per poi ricondurlo in salvo»), Eliot Rosewater è «un omaccione alto un metro e novanta che pesa più di un quintale», che scrive i versi di Blake sulle alzate dei gradini.

Sagace l’invenzione del personaggio dello spiantato scrittore di fantascienza Kilgore Trout. Nella sua opera capitale, 2BRO2B, «prefigurava un’America dove le uniche persone che potevano trovare un impiego avevano tre o quattro dottorati. Tutte le più gravi malattie erano state debellate. Così la morte era volontaria, e il governo, per incoraggiare i suicidi, aveva eretto a ogni incrocio delle strade principali un Salone del Suicidio Etico». La miopia borghese americana passa attraverso le parole del vecchio legale di famiglia: «Una delle principali attività di questo studio consiste nel prevenire l’esercizio della santità da parte dei nostri clienti».

La scrittura è incalzante e, nel susseguirsi di eventi anche straordinari, trovano spazio piccole isole liriche: «lo tirava per la manica come un palloncino», «con gli occhi di uva spina» o «onesti mattoni rossi». Il romanzo non ci fa solamente sorridere delle disavventure e commuovere delle trovate divertenti, ma ci trasmette l’energia di un’utopia indispensabile ad affrontare le ingiustizie.

Kurt Vonnegut

«Dio la benedica, Mr. Rosewater»

Feltrinelli, pp.200, euro 14


(Quotidiano La Provincia 20-2-06)

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