Saggi di Seamus Heany

«La prima cosa buona della poesia è che è di per sé un vantaggio. Dà un piacere immediato e si radica nella memoria come una specie di nuova sede emotiva», con questa affermazione si apre il primo dei due saggi di Seamus Heany, raccolti col titolo di Sulla poesia (Archinto, pp.91, euro 10). Per il premio Nobel irlandese la parola poetica compie un’opera di mediazione tra il mondo conosciuto del passato e quello aperto ai rischi del futuro, e così ricorda i versi di T.S. Eliot: «Vedi, vedi i volti e i luoghi amati / svaniscono ora, nuovi diventano, / in un altro disegno trasfigurati». La poesia è, quindi, una sorta di “presente continuo”. L’aspetto più affascinante della lirica è, infatti, la «permanenza» dei versi nella memoria, per via di quell’«ordine musicale» che acquista la forza di un «mantra». E questo è possibile solo a partire dallo spaesamento «salutare» del gioco di assonanze e ritmi. «L’esperienza artistica ci consolida interiormente. Fortifica la nostra soggettività… abbiamo il diritto di attingere alla materia prima della nostra interiorità, costretti come siamo invece a negoziare con la valuta del momento, con la moneta dell’effimero», perché «una delle ragioni principali per cui si scrive poesia è di conferire a certi ricordi un significato che era assente nel momento in cui gli eventi si sono verificati. Per un poeta, un evento del passato non rivela il proprio significato finché non accade una seconda volta, nella memoria, finché la sua rilevanza non è stata colta dalla scrittura e la situazione nella sua interezza ha acquisito importanza». Come dire che la poesia, rompendo l’abitudine, cambia il punto di osservazione, riattualizzando il passato e attribuendo alle cose significati inediti.

La poesia di Heany è tenera, realista, orizzontale, mentre la sua prosa critica si rivela graffiante, matematica e verticale. La parola poetica è «la voce dei riconoscimenti e delle intuizioni, la voce che vuole abbattere le barriere del discorso sociale».

Nel secondo saggio, Sia dato credito alla poesia, scritto nel 1995 in occasione dell’assegnazione del premio Nobel, Heany ritorna sul concetto di poesia come «ordine che soddisfa tutto ciò che è appetibile nell’intelletto e prensile negli affetti» e che «rende possibile una relazione fluida e ristoratrice tra il centro della mente e la sua circonferenza», tra il pensiero e il mondo che ci incontra. Solo così la poesia diventa «rappresentazione sincera» e «affidabile», un’«alleanza tra linguaggio e percezione» che evita ogni eccesso retorico. Un ordine «fedele all’impatto della realtà esterna e rispondente alle leggi interne del poeta», che dia conto della Storia – per Heany quella sanguinosa dell’Ulster, «anni di guerra e di coprifuoco, quando il buio era veramente buio» – ma anche dei sentimenti di giustizia e di consolazione: «La poesia soddisfa l’esigenza contraddittoria che la coscienza prova in momenti di estrema crisi: il bisogno, da un lato, di dire la verità, dura e punitiva; dall’altro, di non indurire la mente al punto che essa giunga a rinnegare il proprio desiderio di dolcezza e di fiducia». Il linguaggio della poesia si deve, infine, «adeguare» al vero, fondendo cadenza e verità in un unico accento.

“Gazzetta di Parma” 6-8-05

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