Profanazioni di Giorgio Agamben

«Ogni separazione conserva in sé un nucleo genuinamente religioso. Alla religione non si oppongono l’incredulità e l’indifferenza rispetto al divino, ma la “negligenza”, cioè un atteggiamento libero e “distratto”». Dalla teoria dell’identità al concetto di tempo elastico, dalla parodia alla magia in campo etico, fino all’invito alla profanazione, Giorgio Agamben, docente di Estetica a Venezia, procede con stile originale nel libro uscito da Nottetempo, Profanazioni (pp.109, euro 12).

Dieci brevi saggi che attraversano altrettanti temi forti. Il primo descrive il soggetto («unico essere a due fasi») e ciò che di «impersonale» vi è in esso, che intuiamo «nell’intimità della nostra vita fisiologica», per opporre all’apparenza rassicurante l’«opera revocata», l’«inoperosità», il «panico». Genius è una forza oscura che sfugge all’individuazione ma che sottende con la sua opacità ogni conoscenza. La distanza tra il mondo degli adulti e la magia è indagata nel secondo intervento, che riconduce la gioia all’incoscienza e all’«incanto». Col titolo suggestivo di Giorno del Giudizio, il filosofo italiano più discusso all’estero analizza la fotografia attraverso concetti come «esigenza» e «resurrezione della figura», trasformando la foto in profezia.

Verso il centro della raccolta Gli aiutanti fanno il loro ingresso, sono quelli che Benjamin definì persone «crepuscolari» e incompiute, che «non riescono a finire nulla e restano generalmente senz’opera. Incarnano il tipo dell’eterno studente... Eppure in loro qualcosa, un gesto inconcluso, una grazia improvvisa… allude a una cittadinanza perduta». Creature «parallele e approssimative» che popolano trasversalmente la letteratura, da Kafka a Walser, alle Mille e una notte - per gli arabi il mondo è una versione della lingua divina e quindi gli aiutanti sono «una continua rivelazione», sono, insomma, i traduttori di Dio. Riprendendo il concetto di «indifferenza rispetto all’autore» di Foucault, Agamben elimina ogni confusione tra autore reale e «funzione-autore», che non è biografia ma si situa «ai limiti dei testi» e «caratterizza il modo di esistenza, di circolazione e di funzionamento». Si ricerca il «dispositivo» della parola: «il vivente, incontrando il linguaggio e mettendosi in gioco in esso senza riserve, esibisce in un gesto la propria irriducibilità ad esso».

Il gioco, infine, è strumento di profanazione: «I bambini trasformano in giocattolo anche ciò che appartiene alla sfera dell’economia, della guerra, del diritto». Col Cristianesimo la distinzione tra sacro e profano collassa, il divino e l’umano si sfiorano quando Dio diventa «vittima nel sacrificio». Ma la religione dei giorni nostri è un’altra: «Il capitalismo è forse l’unico caso di un culto non espiante, ma colpevolizzante… non mira alla trasformazione del mondo, ma alla sua distruzione (abusus)… Ciò che non può essere usato viene consegnato al consumo o all’esibizione spettacolare». Accompagnato dai profeti della modernità, Nietzsche, Marx e Freud, l’autore, con l’esempio di «consumatori infelici» e «turisti», auspica «la creazione di un nuovo uso» per le cose, una volta disattivato il vecchio. Pagine scritte anche per il piacere di essere lette, nelle quali è la stessa filosofia a essere sconsacrata.

“Gazzetta di Parma” 17-12-05

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