Il caso Arbogast di Thomas Hettche

Il tema del romanzo di Thomas Hettche, Il caso Arbogast, è la vicenda più discussa nella Germania del dopoguerra. Nel ‘53 una giovane autostoppista venne trovata morta in un bosco, nello stesso luogo dove, qualche tempo prima erano stati consumati altri omicidi. Il corpo della donna, profuga dell’est, era nudo e livido, tanto da far supporre una morte violenta. Intorno ai capezzoli c’erano tracce di morsi e gli inquirenti decisero di imboccare la pista del maniaco. Tutto iniziò con l’equivoca perizia legale che attestò la causa della morte sulla base di fotografie notturne scattate da un reporter. L’unico indiziato, Hans Arbogast, si presentò spontaneamente alla polizia dichiarando di avere raccolto la donna sulla provinciale e di aver fatto l’amore con lei, ma che durante il rapporto lei era morta tra le sue braccia, probabilmente -dirà più avanti un perito- per embolia gassosa. Arbogast allora era un rappresentante di tavoli da biliardo, un marito distaccato da poco diventato padre. L’opinione pubblica e la macchina investigativa si schierarono contro di lui e il «caso» partecipò del clima perbenista della Germania Federale degli anni ‘50, repressiva e ancora lontana dalla liberazione sessuale. Arbogast fu condannato all’ergastolo senza prove certe e la sua vita si ridusse a una cella due metri per due, dove nessuno, neanche il cappellano, lo credette innocente e da dove vide andare a rotoli il proprio matrimonio. Presentò molte istanze di riapertura del processo ma furono tutte respinte. Solo alla fine degli anni ‘60, il cambiamento nei costumi e la disponibilità della magistratura resero possibile la revisione. Fu un evento importante, al dibattito parteciparono scienziati e intellettuali, venne messa in discussione la perizia del ‘53, stilata da un barone della medicina accademica, smentito e accusato di leggerezza. Si dimostrò come i segni sul collo della vittima potessero essere comparsi dopo la morte, a seguito del contatto con rovi o rami, e come non fossero tracce della «corda per bovini» usata per strangolarla. L’esito fu incerto fino all’ultimo ma la corte assolse l’imputato, dopo quasi vent’anni di carcere. Rimane il dubbio, alla fine del libro, se egli fosse realmente innocente, se la vittima fosse o meno consenziente; certo è che la giustizia ammise i propri limiti e giudicò le prove disponibili. Il fatto aprì la strada alla revisione del codice penale e portò all’attenzione del mondo la detenzione di molti innocenti. Si calcola che nella sola Germania, negli anni ‘60, ben 9.000 persone abbiano fatto domanda di revisione e si può ipotizzare che, se anche solo un quinto dicesse la verità, ci troveremmo davanti a centinaia di abusi giudiziari.

Il racconto procede con linguaggio asciutto, quasi scarno, la scrittura è elegante, la narrazione avvincente. Risulta centrale, oltre alla morbosa curiosità suscitata dal delitto, l’attenzione per la finissima linea di confine che esiste tra violenza e piacere, quell’area ambigua della sessualità che si scontra con la necessità storica di un paese uscito devastato e diviso dalla guerra e che vuole diventare “normale” a tutti i costi.

Alberto Pellegatta

Thomas Hettche, «Il caso Arbogast» Einaudi, pp.289, euro16.50

(Quotidiano La Provincia 18-10-05)

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