Epistolario di Emily Dickinson
Una «vita minuscola» fa da contrappunto ad avvenimenti anche molto importanti della storia americana (la nascita del partito socialista o la guerra civile), registra una ricerca estranea al chiasso ma costante. Nella quiete apparente si innestano i depistaggi: «La genziana è un fiore avido che ci coglie di sorpresa», «Compagnia assolta - / Dispersa… Oscilla – a fatica – nell’Aria polare». E precoce è anche il disincanto, il sentimento della scomparsa: «Non riesco a rendermi conto che gli amici che ho visto dileguare». Il suo particolare atteggiamento religioso, misto di interrogativi e antipatie, viene da qui: «Ci stiamo distaccando l’una dall’altra e già ora parliamo come due estranee. Tu stai diventando più saggia di me e reprimi alla nascita le fantasie che io lascio fiorire – e che forse non porteranno mai frutto, o lo produrranno amaro. La costa è più sicura, Abiah, ma io amo lottare col mare – posso contare i tristi naufragi di queste belle acque, e posso sentire il vento amando il pericolo». Negli anni in cui la sua mente cresce erudita da Shakespeare e Longfellow, le lettere si condensano, trovano un ritmo più contratto, simile alla cadenza antiretorica delle poesie. Un linguaggio «fosforescente», consapevole e informato, da voce al «regno della volpe».
Emily Dickinson
«Lettere 1840-1886»
Einaudi – 2006
pp. 260 – euro 10,80
(Quotidiano La Provincia 6-1-07)
Commenti
Posta un commento