Cartesio in Germania di Durs Grundbein

Della neve ovvero Cartesio in Germania (pp. 280, euro 16) è un libro impegnativo e resistente. Il poeta simbolo della Germania unita, Durs Grünbein, confeziona un romanzo in versi sulla figura del filosofo Descartes. Libro del risveglio, dell’attimo in cui «il mondo è ancora grande, come i polmoni», perché «a partire dagli occhi cresce… obbedisce all’immagine/ch’è qui pronta da un pezzo e lo tiene a distanza», quasi che l’ultimo grado della scienza sia il sonno. Nel torpore narcotizzante della neve, in sospensione, il mondo sembra «un incantesimo».

Il giovane René si trova in una Germania assediata dall’inverno e dalla Guerra dei Trent’anni. Nella quiete di una «piccola era glaciale», il filosofo rimane a letto fino a tardi («letto, culla del conoscere»). Ha solo la compagnia di un servo, un uomo pratico che non capisce le astrazioni. Il bianco ha «fatto alla ragione il letto», scardinando prospettive e rifrazioni, e «vale quanto i grossi diamanti/per cui si fanno guerre, si scambiano province./La neve è un gioielliere». L’autore dosa sapientemente l’opacità del sogno e la «brevità matematica» del ragionamento. Con altre lenti, le cose più rassicuranti trasfigurano: «ci vuole l’ombra che contorna… Mi spaventa questo lenzuolo funebre… come occhi rovesci». Con onestà («Non uno che alla cieca/cerca nell’erba e lascia al caso il dove… so ciò che il mio corpo narra/e nervo a nervo mi traduce… Chi è io? Non farmi ridere – carta») persino le lacrime sono ricondotte a un principio idraulico. Il paesaggio «fonde» e nel luogo raffreddato dei concetti si trova «quel che lascia da parte chi disegna gli atlanti… Hic sunt leones». Le notizie della guerra sembrano pitture di Goya («dalla quercia in fiamme pendono/gli impiccati… rovine, mutilati, bestiame massacrato… il bosco è un battaglione congelato… focolaio infetto… Scrigni, bottoni d’oro, occhi di Rembrandt») mentre si da «fondo al ritratto».

Puntuale arriva la difesa della logica («Ogni corpo celeste grazie all’algebra/nell’universo ha una traiettoria», «ruota sulla vecchia orbita, tranquilla, calcolabile») contro l’oscurantismo dei roghi, perché solo «un trattino collega il bene e il male». Con un’avvertenza: «non fa scudo il sapere./La verità di rado ti è d’aiuto». La relatività irrompe nel radar cerebrale («che spazio e tempo sono dentro di noi, e qui soltanto»; «in tutto regna numero e rapporto») e l’identità del soggetto conserva i suoi gradi di ambiguità: «spirito e corpo riposano nella distanza», «il vero io – in natura s’incontra assai di rado… il libero arbitrio? Granito c’è, e quarzo, basalto… Ti libera dal simbolo, Gillot, solo il concetto». Consoliamoci: il mondo «non è soltanto il luogo del macello, è stanza dei prodigi. C’è la bellezza delle serie numeriche». Il sogno, invece, è un mondo dipinto, equilibrato, l’inverno un aggettivo, una qualità dell’essere; l’occhio è «disarmato», nel «regno delle lasche», e la paura un «crampo» per la nostra natura «ricattabile e vile».

È un libro di contrasti e di dettagli («singhiozza, si strofina il mignolo del piede») e il tempo, infine, diventa «vedovo», la luce «cadaverica» («luce non è il tempo?»), quando, a Stoccolma, il filosofo morente «come un grosso pesce preme la fronte al vetro» e «brilla la costellazione, l’oroscopo».

“Gazzetta di Parma” 20-05-06

Commenti

  1. un libro che amo moltissimo, che rileggo spesso
    così come adoro Grundbein.
    Ottimo post. ciao.

    Margherita P.

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  2. Grazie. Da poco è uscita una traduzione di Volker Braun. Un ottimo poeta, ricordo una poesia sul Muro... rimasta inascoltata...

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