Antologia di E.E. Cummings

Più giovane di Eliot e più anziano di Auden, Edward Estlin Cummings è uno dei poeti americani più sperimentali del Novecento. Nelle sue raccolte, delle quali Einaudi ripropone una scelta in «Poesie» (pp. 274, euro 16,50), l’autore combina una solida cultura acquisita ad Harvard e in Europa con l’esperienza della guerra e della prigionia; l’amicizia di Dos Passos, Pound, Cocteau, Picasso e Marinetti con l’amore per la pittura di Cézanne e Duchamp o la musica di Schoenberg. La poesia, secondo Cummings, deve essere dinamica anche attraverso il funambolismo della punteggiatura e della metrica, ma se questi versi conservano intatto il loro fascino è certo per le immagini nitide e nette che vanno ben oltre la moda avanguardista. Come scrisse Edmund Wilson, «dietro la barriera della strana punteggiatura e della voluta disorganizzazione, le composizioni di Edward Estlin Cummings sono familiari e semplici, anzi talvolta persino banali. C’è l’adorazione del nuovo amore, l’eccitazione per l’arrivo della primavera, il senso della mortalità della carne, del fatto che le rose diventino cenere». Sembra che sia Baudelaire a suggerire al poeta le parole dell’introduzione a «Collected Poems»: «Le poesie che seguono sono per te e per me e non per i più; inutile fingere che i più e noi ci somigliamo». Le immagini rimangono inossidate nella loro tenera freschezza: «Essere le tue labbra è cosa dolce / e piccola». La struttura della scena è spesso derivata dalle prospettive della pittura antica (per esempio di El Greco), tra cavalli dorati, «cervi» e «caprioli», così come la temperatura è affidata alla luce e al colore («mondo violetto che saprà danzare»).

Il verso «si gonfierà ansimando come il mare» oppure si ridurrà fino a scomparire in fotogrammi fulminanti (come per i due amici che corrono come «biglie») o in ossimori depistanti («quando il mondo è una meravigliosa pozzanghera»). Il tema amoroso, prediletto dal poeta, trova nei Santi i custodi del sangue innamorato e nella vita «una fragilità / di papaveri», senza essere mai stucchevole, neanche quando si intrattiene con la Primavera, che appende «canarini in gabbia alle finestre dei salotti // primavera sciatta stagione tu» che «hai gambe sporche». E il potere entra senza convenevoli nei versi di Cummings: «i cari vecchi / che governano il mondo(e me e / te se non stiamo molto / attenti)… sdentati… ficcanaso… i noiosi / cari superflui calvi / ve / cchi», oppure dove «Jehova sepolto, Satana morto, i / pavidi adorano Presto e Molto; / il male non più giudicato male, / mansuetudine per bene equivale… Eternità è Piano Quinquennale».

Così, dalla prima raccolta, «Tulipani e camini» (1923), e dal manifesto della sperimentazione americana che è stata la poesia «in Just-», si passa ai «bellissimi elefanti» e ai «girini» del ‘25, alle «mani assassine» e alla celebre prefazione a «is 5» che recita: «Presumendo che la mia tecnica sia complicata o originale o tutt’e due, gli editori mi hanno gentilmente chiesto di scrivere un’introduzione… Pari al comico, io amo soprattutto quella precisione che crea movimento. Se un poeta è qualcuno, è qualcuno cui importa cordialmente poco delle cose fatte – è qualcuno ossessionato dall’idea del Fare. Come tutte le ossessioni ha i suoi vantaggi; per esempio, il mio solo interesse a far quattrini sarebbe di farli. Per fortuna però preferirei fare qualsiasi altra cosa, comprese le locomotive… Mentre i nonfacitori si devono accontentare del semplice fatto innegabile che due più due fa quattro, il poeta gode una verità puramente irresistibile». E così il verso si fa «tango», fino alla raccolta del 1963, «73 Poems»: l’arte non è semplice stupore davanti a «ogni friabile meravigliosa cosa che respira», non è solo «mammole» e «mughetti», è qualcosa di scattante che fa attrito, che si muove, che parla anche di «serotina» e «orecchie… appiccicate male». Nei testi più complessi e maturi, la metrica diventa un gioco virtuoso, ma non ci lascia mai orfani di un significato. Cummings ci offre un esempio di rischio e di ricerca, un modello di stile.

Per finire, nell’introduzione ai «Collected Poems» del 1938, l’autore tocca temi capitali, «anticoncezionali» («tu e io non siamo degli snob. Non possiamo mai nascere abbastanza»), dichiarando il primato del presente e confessando, col sarcasmo che lo contraddistinse sempre: «per noi, una montagna è un mammifero… un ricordo di miracoli». Una poesia difficile e insieme aperta al lettore, divaricata, fino all’epilogo sull’origine del mondo («quando dio decise d’inventare / tutto fece un sospiro / più grande di un tendone da circo / e tutto incominciò») e della morte («è strettamente / scientifica / & artificiale & // maligna & legale… perdonaci,o vita!il peccato della Morte»).

Lettore, «scordandoti di me, ricordami», così continua a congedarsi Cummings, penetrando negli «spigoli» della vita.

“Gazzetta di Parma” 27-06-06

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