Gauche Divine

La segreta sopravvivenza dell’intelligenza, a Barcellona durante il franchismo, la lotta quotidiana per la libertà e contro l’oppressione, si intrecciano necessariamente con la vita dei poeti di quegli anni. I figli della guerra civile trovarono nella parola la chiave più autentica della rivolta, consapevoli dell’eredità di maestri come Aleixandre o Machado, ma originali nei toni e aggiornati nei temi. La sinistra divina è il titolo di una bella mostra fotografica che si è tenuta proprio a Barcellona. Si trattava di commoventi ritratti del gruppo di giovani “per bene” che si opposero al conformismo della loro stessa classe con la sola forza della letteratura. Collaboratori della rivista Laye e della casa editrice di Carlos Barrall, pubblicarono autori stranieri inediti. La “Scuola di Barcellona” - come la vollero definire gli accademici – assomigliò più a una comunità radical chic, dedita allo scandalo, ai festini, all’alcol, alle pastiglie, ma soprattutto, a scrivere schivando la censura; furono scrittori tutt’altro che omogenei, idealisti fino alla “transizione”, fino al disincanto democratico. Educati al whisky e a Eliot, ricercarono nella poesia una sospensione feriale - chi musicale o metafisica, chi narrativa o orizzontale - dall’affanno del mondo. Arrivarono a creare una poetica della conversazione amicale, come luogo dell’intelligenza.
Questa che proponiamo è un’antologia di testi che li rappresenti – per quanto sia impensabile sperare di esaurire così la loro conoscenza. Ai canonici nomi cui è ricondotta l’immagine del gruppo catalano vogliamo aggiungerne altri che hanno, a nostro avviso, il merito di aver concorso, lontani magari da Barcellona, a mantenere e innovare quell’«architrave» (Biedma) umana e letteraria che in Spagna ha corso pericoli gravissimi. Per aiutare a immaginare il clima sociale e letterario di quegli anni – ma anche per il piacere di riscoprire autori trascurati - si è pensato di introdurlo attraverso i testi di due poeti appartenuti alla generazione di mezzo tra i maestri e i giovanissimi. Una doppia esperienza, quella civile di Blas de Otero e quella più misteriosa di Juan-Eduardo Cirlot – che proponiamo come caso singolare nel panorama della poesia spagnola – opposte tra loro e a ridosso dell’età dei “padri”: Aleixandre, Antonio e Manuel Machado, Rafael Alberti, Gerardo Diego, fino a Juan Ramón Jiménez, Miguel Hernández, al catalano Pere Quart. Due esperienze importanti che faranno da viatico alla “rivoluzione” dei nati negli anni Venti, innovando la lingua e rispondendo a nuove urgenze: il franchismo che, peggio, se possibile, del fascismo in Italia e più odioso, bestiale, stava aggredendo ogni attività culturale, censurando e costringendo molti a pubblicare in America Latina, tenuti d’occhio dal regime, tollerati solo se borghesi, come Biedma, Goytisolo o Barrall. Questi che seguono sono i figli di quella guerra civile, poeti che il critico Castellet riunì in una celebre antologia, tradotta negli anni Settanta anche in Italia da Feltrinelli.
L’età di mezzo: Cirlot e Blas de Otero
Juan-Eduardo Cirlot, noto in vita come studioso d’arte più che come poeta, è stato recentemente riscoperto dalla critica. È nato a Barcellona nel 1916, ha studiato al conservatorio e durante gli anni della guerra strinse contatti col fratello di Luis Buňuel, Alfonso, iniziandosi al surrealismo e introducendo nella produzione poetica questa variabile. Col drammaturgo catalano Joan Brossa (padre del poema-oggetto) creò il gruppo Dau al Set (Dado a sette punti, nome che evoca l’impossibilità irrazionale). Nonostante Cirlot scrivesse quasi contemporaneamente ai poeti della “Scuola di Barcellona”, la sua produzione rimase estranea a quella linea. Secondo Cirlot, si potrebbe dividere la produzione poetica spagnola in tre tappe: il predominio del romanticismo (1940-44), il surrealismo (1944-47, con Cirlot e Segalá) e il ritorno al neoromanticismo (con i redattori della rivista Laye, Folch, Barral, Costafreda, Oliart, Ferrán, Biedma). Pubblicò il primo libro nel 1942 ma Obra poética (1997) racchiude l’intera sua produzione in versi.
da Opera poetica:
IL POETA
Quest’uomo di cavalleria dispersa, non è altra cosa che l’esumatore di un mondo ancora irredento. Ha appreso, soffrendo, formule magiche che gli altri non conoscono: rapporti per evocare e ricreare le danze interiori.
Razze sordomute, perse nei loro passaggi più profondi, prendono la parola bruscamente e, dalla valle addormentata sotto la nebbia, questo coro suona illuminando regioni desolate e magnifiche.
Così, fino a che tutta la terra non si trasforma in eco.
*
ALBERO AGONICO
L’albero che nei miei occhi soffre e cresce
aspetta le tue colombe abbaglianti.
Senza frutta, con le foglie desolate
estatico si alza. Non fiorisce.
Senza il sangue blu. Rimane
sempre sterile; i rami rotti
come arterie e senza fiori, disabitati:
vestigia di altro mondo che sparisce.
Vestigia del mio orrore cristallizzato
in lamenti senza voce; duri fulgori
metallici, che coprono la tortura
eterna di questo mostro manierista
che estende disseccata la follia,
sotto il cielo scuro e il silenzio.
*
Se la bestia singhiozza nel paesaggio
per i seni incisi, per il polpo
che lento si beve l’orizzonte.
Le mani della notte si preparano,
frenetiche di altari accesi,
sulla dolce spugna del suo ventre.
Un muggito di vergine o di vacca
rimbomba nelle pareti di legno
e le dita si rompono come nardi.
Quando le torri rosse si incorporano
nel tumulto legato alle battaglie,
all’inno del dolore che continua.
*
BERCEUSE
Sono sulla spiaggia
scura. Il mare oscilla.
Sulla barca eterna
tu vieni e vai.
Sono nella foresta
lontana. Il vento piange.
Nella casa eterna
tu vivi e non ci sei.
*
Così mi riconosco in quel muro,
e anche nell’edera che lo sgretola.
Tutto si sopravvive e si ripete
sulla grande canzone dello scatto.
Era come il colore del sacramento,
uno speciale belato di montagna;
qualcosa che incombeva senza piangere
mentre il disgraziato si affacciava.
La mano approssimò il suo gesto leggero,
le porte tremanti riposarono,
le tele separate della rosa
lasciavano le sue monete d’ambito.
La luce era morta nel profilo
di quell’immagine di oro sostanziale.
Dalla sua quiescenza eterna si allontanavano
foglie come cristalli in silenzio.
La sua voce non pronunciò il mio nome antico,
dalle sue mani di pietra non venne fonte.
Numeri interrati nei loro circoli
formavano aloni neri con dolore.
Io ero allora solo nella mia figura,
non conoscevo il filo dei tempi
né questa disgregazione fondamentale
che scricchiola se muovo la testa.
*
La mia testa non umana si affaccia alla finestra;
con occhi di dragone vedo passare gli uomini,
con bocca di vulcano assisto a uno splendore del crepuscolo,
con mani minerali e corpo di cristallo ritorto
sto in una casa umana.
*
SUL NON MONDO
Il «modello» del desiderio è lì. Il suo esistere non è segno di speranza (possibilità), la distanza (spazio, tempo), disunendo, impedisce. L’intuizione d’amore è assoluta. Tutto ciò che segue (essere o non essere) è relativo, contingente, deteriorato. Sta minacciando da dentro e da tutta l’esteriorità.
*
Blas de Otero è nato a Bilbao nel 1916. La sua è stata la poesia dell’uomo davanti alla morte, in un «canto frenetico a gironi» (Dámaso Alonso). Ancia, il libro che raccoglie la sua produzione, è il grido, l’urlo davanti alla desolazione delle due guerre, che non rinuncia a essere poesia d’amore e di speranza. Famoso per i suoi sonetti, è morto a Madrid nel 1979.
da Ansia:
UOMO
Lottando, corpo a corpo, con la morte,
al bordo dell’abisso, sto invocando
Dio. E il suo silenzio, rimbombando,
affoga la mia voce dentro al vuoto inerte.
Oh Dio. Se devo morire, voglio tenerti
sveglio. E, notte dopo notte, non so quando,
sentirai la mia voce. Oh Dio. Sto parlando
da solo. Ragnatelando l’ombra per vederti.
Alzo la mano, e me la tagli.
Apro gli occhi: me li strappi vivi.
Ho sete, e diventano sale le tue spiagge.
Questo è l’uomo: orrore a mani piene.
Essere – e non essere – eterno, fuggitivo.
Angelo con grandi ali di catene!
*
E IL VERSO SI FECE UOMO II
Parlo di ciò che ho visto: della tavola
e del vaso; dell’uomo e dei suoi due morti;
scrivo per grida, dico cose forti
e mi sente anche dio. Così si parla.
Venite a vedere il mio verso per strada
la mia voce in pelle sotto la canicola.
Poeti da spuntino, gente ridicola.
Indietro questa fanfara! Che taccia!
Parlo come in prigione: schioccando
la lingua, con le mano a megafono:
«Tarchia! Che dici! Come! Dove! Quando!»
Scrivo come sputo. Contro la terra
(oh quei poeti tamarri, in sordina,
figli di papà) e contro il gelo.
*
AL PRINCIPIO
Se ho perduto la vita, il tempo, tutto
ciò che ho tirato, come un anello, in acqua,
se ho perduto la voce tra le erbacce,
mi resta la parola.
Se ho sofferto la sete, la fame, tutto
ciò che era mio e risultò essere niente,
se ho segato le ombre in silenzio,
mi rimane la parola.
Se ho aperto le labbra per vedere il viso
puro e terribile della mia terra,
se ho aperto le labbra fino a strapparmele,
mi resta la parola.
*
Sostenitori della felicità: il gruppo di Barcellona allargato
Jaime Gil de Biedma
«Come qualsiasi poesia mediamente ben fatta, sono privo della libertà interiore, sono tutto necessità e sottomissione a quel tormentoso tiranno, a quel Big Brother insonne... per metà Calibano e per metà Narciso, lo temo soprattutto quando, accanto al balcone aperto, sento che mi domanda: “Che fa un ragazzo degli anni ’50, come te, in un anno indifferente come questo? All the rest is silence», così introduceva la propria raccolta completa Gil de Biedma - che smise di scrivere a trent’anni, lui che è stato il motore del gruppo. Nato a Barcellona nel 1929, ha viaggiato in Oriente per lavoro e ha pubblicato il suo primo libro nel 1953. Las personas del verbo rimane l’edizione delle poesie licenziate dall’autore. Traduttore di Eliot e Isherwood, fine critico letterario, è morto prematuramente nel 1990, consegnandoci anche un gustoso diario postumo.
da Le persone del verbo:
ARTE POETICA
A Vicente Aleixandre
La nostalgia del sole sui terrazzi,
sul muro color piccione di cemento
- senza dubbio vivido – e il freddo
repentino che quasi ci sorprende.
La dolcezza, il calore delle labbra, soli
in mezzo alla strada familiare
come in un grande salone, dove arrivano
moltitudini lontane come esseri amati.
E soprattutto la vertigine del tempo,
il gran bouquet che si apre nell’anima
mentre sopra galleggiano promesse
che si sfanno come spume.
È senza dubbio il momento di pensare
che il fatto di star vivi esige qualcosa,
forse eroicità – o basta, semplicemente,
qualche umile cosa comune
da stringere tra le dita, con un poco di fede?
Parole, per esempio.
Parole di famiglia guastate tiepidamente.
*
AMICIZIA NEL TEMPO
Passano lenti i giorni
e molte volte siamo stati soli.
Però poi ci sono momenti felici
per abbandonarsi all’amicizia.
Guarda:
siamo noi.
Un destino condusse destramente
le ore, e germogliò la compagnia.
Giungevano le notti. Per amore loro
accendevamo parole,
le parole che poi abbandonammo
per salire più in alto:
iniziammo a essere i compagni
che si conoscono
oltre la voce o il segno.
Adesso sì. Possono alzarsi
le parole gentili
- queste che ormai non dicono cose –
galleggiare leggermente nell’aria;
perché siamo impigliati
nel mondo, sarmentosi
di storia accumulata,
la compagnia che formiamo è piena,
frondosa di presenze.
Dietro ognuno
veglia la casa, il campo, la distanza.
Silenzio.
Voglio dirvi qualcosa.
Soltanto voglio dirvi che siamo tutti uniti.
A volte, parlando, qualcuno dimentica
il suo braccio sul mio,
e io benché taccia ringrazio,
perché c’è pace nei corpi e in noi stessi.
Voglio dirvi come tutti trascinammo
le nostre vite qui, per raccontarle.
Lungamente gli uni con gli altri
nell’angolo a parlare, tanti mesi
da non ricordare, e nel ricordo
la gioia è uguale alla tristezza.
Per noi il dolore è tenero.
Ahi il tempo! Già tutto si comprende.
*
ULTRAMORT
Una casa deserta che io amo,
a due ore da qui,
mi serve da conforto.
Sulle sue tegole rosate dall’erba
la luna si spossa,
si addormenta il sole temporale.
Tra le sue mura il silenzio esiste
che ora io immagino
- sognando di vivere
una seconda infanzia prolungata
fino all’esaurimento
della carne, felice.
Mi affaccerò silenzioso a vedere il giorno,
contento di stare solo
con la vita che mi basta.
Trovare nel letto un altro corpo,
per non più di qualche notte,
sarà come bagnarmi.
*
AMORE Più POTENTE DELLA VITA
La stesso sole nel tuo paese,
che esce dalle nuvole:
allegra e delicata traccia sulle foglie,
fulgore su un cristallo, modulazione
dello spento luccichio della pioggia.
La tua stessa città,
la tua città di innumerabile cristallo
identica e distinta, cambiata dal tempo:
strade che non conosco e la piazza antica
popolata dagli uccelli,
la piazza in cui una notte ci baciammo.
La tua stessa espressione,
dopo tanti anni,
questa notte quando mi guardi:
la tua stessa espressione
e l’espressione ferita delle labbra.
Amore che è come la vita,
amore senza esigenza di futuro,
presente del passato,
amore più potente della vita:
perduto e ritrovato.
Trovato, perduto…
*
PEEPING TOM
Occhi solitari, ragazzino attonito
che sorpresi a guardarci
in quella piccola pineta, vicino alla Facoltà di Lettere,
più di undici anni fa,
mentre mi separavo,
ancora stordito di saliva e sabbia,
dopo esserci rotolati entrambi mezzi vestiti,
felici come bestie.
Il tuo ricordo, è curioso,
con quale riconcentrata intensità di simbolo
va unito a quella storia,
la mia prima esperienza d’amore corrisposto.
A volte mi domando che sarà stato di te.
E se adesso nelle tue notti accanto a un corpo
ritorna la vecchia scena
e ancora spii i nostri baci.
Così ritorna a me dal passato,
come un grido sconnesso,
l’immagine dei tuoi occhi. Espressione
del mio stesso desiderio.
*
IL GIOCO DI FAR VERSI
Il gioco di far versi
-che non è un gioco- è qualcosa
che assomiglia in linea di principio
al piacere solitario.
Con la prima muta,
negli anni nostalgici
della nostra adolescenza,
incominciammo a scrivere.
E sono le nostre poesie
del tutto immaginarie
-troppo inesperte
neppure copiate-
perché la Poesia
è un angelo astratto,
e, come tutti quelli,
predisposto a lusingarci.
L’arte è un’altra cosa
Diversa. Il risultato
di molta vocazione
e un po’ di lavoro.
Imparare a pensare
in versi misurati
-e non ai sentimenti
con cui ci esaltavamo-,
trattare la lingua
come fosse magica
è un buon esercizio,
che arriva a ubriacarci.
Alla fine lo strumento è
accordato:
la migliore poesia
è il Verbo fatto tango.
E le poesie sono
un modo che adottiamo
perché ci capiscano
e per capirci.
Quello che importa spiegare
è la vita, le forme
della sua filantropia,
le notti dei suoi sabati.
La maniera che ha
soprattutto in estate
di essere un paradiso.
Sebbene, di quando in quando,
se una di quelle notti
che se le porta il diavolo
uno pensa alla storia
di questi ultimi anni,
se pensa a questa vita
che ci riduce a pezzi
di legno marcio,
perduti in un naufragio,
la coscienza gli pesa
-per tentare
di convincersi in segreto
d’essere ancora degno.
Il gioco di far versi,
che non è un gioco, è qualcosa
che finisce somigliando
al vizio solitario.
*
ALBADA
Svegliati. Il letto è più freddo
e le lenzuola sporche per terra.
Dai vetri della veranda
arriva l’alba,
con il suo colore di soprabito autunnale
e le calze da donna.
Svegliati pensando vagamente
che il portiere di notte vi ha chiamato.
E ascolta nel silenzio: ripetutamente
in lontananza, si ascoltano sferragliare
i tram che portano al lavoro.
E’ l’alba.
Andranno accumulandosi i fiori
recisi, nei chioschi delle Ramblas,
e canteranno gli uccelli –quei cornuti-
dall’alto dei platani, guardando ritornare
la nera umanità che va a letto
dopo l’alba.
Ricordati della camera dove hai dormito.
Affonda la testa nei cuscini,
sentendo ancora l’irritazione e il freddo
che da l’alba
accanto al corpo che tanto ci piaceva
ieri notte,
e pensa che dovresti alzarti.
Pensa alla casa ancora scura
dove entrerai per cambiarti il vestito,
e all’ufficio, col sonno da vincere,
e alle molte altre cose che si annunciano
già all’alba.
Anche se accanto ascolti il sussurro
di un altro respiro. Anche se cerchi
quel poco di calore tra le sue cosce,
mezzo addormentato, inizi a rabbrividire.
Anche se l’amore non smette d’esser dolce
una volta fatta l’alba.
Vicino al corpo che di notte mi piaceva
tanto, nudo, lasciami che accenda
la luce per baciarti viso a viso,
all’alba.
Perché conosco il giorno che mi aspetta,
e non per il piacere.
*
Carlos Barral è nato sempre a Barcellona nel 1929, poeta, editore e memorialista, lavorò instancabilmente sui versi elaborando forme colte e preziose, iniziò a pubblicare negli anni Cinquanta e Poesia completa raccoglie tutti i testi in versi. Fu, nel gruppo di Barcellona, il più anticonformista. Attualmente la casa editrice Seix Barral è stata assorbita dal gruppo Planeta, ma continua a focalizzare la sua attività sulla poesia.
da Poesia completa:
COGNOME INDUSTRIALE
Molto tempo,
durante le rare visite, quando andavo
guadagnando giorno per giorno, mi produco
un’impressione amabile.
Restava un odore acre,
come di vernice, e un sapore di legno e di ferro nobile,
la memoria del rumore e le immagini
meravigliosamente decomposte.
Ricordavo un angolo
guastato dalle mani,
tenero come la voce del padre,
e un luogo con sfere di marmo.
Ma quel portone
che un giorno attraversavo
e l’altro dimenticavo, per motivi
quasi magici,
si fece presente.
Lì c’era il mio nome
scritto, lì di mattina
presto si fermava la luce,
l’aria... e tutto quanto facevo,
tutto era pagato, tutto a credito
di resa libertà, di coscienza
confusa...
No, non voglio, dissi
guardando i mucchi
di rottami,
la terra verde e nera della strada futura
... e una ragazza triste che passò
senza fretta...
E ero libero
solo di dire ciò che non importa.
*
LA PANCA
Guarda il nonno e di:
è sorprendente
che ancora pensi e immagini. È una rovina,
un lago di memoria che sprofonda
in caverne di dimenticanza, per burroni
di ossa apparenti
di secoli. Ma inventa,
inventa per te una lunga storia
del vivere oltre il destino,
di accovacciata mummia nelle stanze
e fantasma nelle sale dei vicini.
Tenta un gesto ampio che comprenda
un po’ di amore per il visibile e per te stesso
e ti invita a inventare mentre si siede
sul teso sgabello di fronte alle fiamme
che eseguono un dramma di impazienza
con biondi fiamme azzurre.
*
Alfonso Costafreda è nato a Lerida nel 1926 in una famiglia benestante. Studiò diritto e iniziò a scrivere poesie. Continuò gli studi a Barcellona, dove entrò in contatto col gruppo di poeti catalani. Nel 1951 pubblicò 8 poemas. Il suicidio dell’amico e critico Gabriel Ferrater, autore in versi in catalano e confidente intimo di Jaime Gil de Biedma, segnò il giovane autore. Nel 1973 finì di scrivere Suicidios y otras muertes (raccolto poi insieme al resto dell’opera nella Poesia completa), suicidandosi l’anno seguente.
da Poesia completa:
IL TERRORE PREVENTIVO
Diedero al fuoco virulenza,
calcificarono boschi e fiumi.
Il nome della Giustizia
ingiusti testimoni hanno alzato,
e altri e altri crimini
che sarebbe prolisso enumerare,
e un altro delitto commisero
più raffinato e atroce.
Conficcarono nel petto umano
la coccarda del terrore.
Che la paura dell’abisso fuori
peggiore che il proprio.
Sacerdoti di un nuovo culto
-e quanto antico-
il terrore preventivo reinventarono,
principio e croce di tutta la sottomissione.
*
QUI E Lì
A Blas de Otero
Qui posiamo una pietra e di là arranchiamo
un’ombra; piantiamo qui un albero, qui,
e in punta di piedi là un idolo sbricioliamo.
Qui un poeta canta parole vere,
là parole cieche a colpi interriamo.
Là nei campi più bassi, là in Andalusia,
un giorno –per esempio- con cura marchiamo;
qui sull’alto tavolino, qui a Madrid, adesso,
in questa primavera un’altra più luminosa
progettiamo.
*
L’ALBA
Dimmi di sì, di no,
dell’alcol dal sapore amaro
durante l’alba prestissimo,
vacillante e infermo il cuore.
Cit, cit, cit, tuit, tuit, tuit,
La morte canta negli uccelli
Si infiltra il suono breve,
presago e sordo tiritìt, titiritì,
otto ottavi di povertà
in quest’alba dei gemiti.
*
Come una casa grande e spopolata
mi si è riempito il cuore di freddo.
L’allegria e i sogni, la speranza,
con le prime foglie già se ne sono andate.
Forse deve tornare la primavera,
non tornerà il suo tempo per il mio.
*
José Agustin Goytisolo è nato a Barcellona nel 1925 da una grande famiglia di industriali. Fratello di Juan, famoso romanziere e Luis, giornalista, ha pubblicato diversi libri di poesia, da El ritorno (1955) a Poeta en Barcelona (1997). Si uccise all’indomani del suo settantacinquesimo compleanno, dopo aver festeggiato ascoltando il grande Paco Ibaňez cantare la sua Canzone per Giulia.
da Il ritorno:
CIMITERO DI SUD-EST
Ah, gli abbandonati!
Case avete come luoghi
per occuparvi, impalpabili.
È facile dimenticare che siete distinti
collocati così
che non fate uso
delle piccole porte
che nelle vostre ultime stanze
non c’è un tiepido letto
né un vaso di cristallo
aspettando il contatto delle labbra
carne fango e cenere
continuate con la vostra morte.
Salute abbandonati!
*
IN STRADA
Ragazzi, amici della strada e veloci
frombolieri brava gente.
Voi siete stati la mia prima scuola
di lotta e di amicizia.
Con la mano tesa, senza pietra,
io vi riconosco, adesso.
Voglio che vi ricordiate la luce, l’aria
la neve del luogo.
Voglio che ritorniamo al pane duro,
alla frutta furtiva.
Venite qui, la terra è nostra. Ascoltatemi.
Devo parlarvi.
*
LAYE
Berrò un giorno
il vino rosso d’aria e
dalla tua ritrovata libertà
uscirò per le tue strade
cantando
cantando fino a rimanere senza voce.
Perché sarà di nuovo
e per sempre
terra di valenti
rifugio di poveri
capitale dei mari,
archivio della cortesia
tu Laye mia città.
*
Ángel Gonzáles è nato a Oviedo, nel nord atlantico della Spagna, distante geograficamente da Barcellona, ma unito agli altri autori dalla grande qualità dei testi e da un’abilità nell’uso dell’ironia. Pubblicò il primo libro, Aspero mundo, nel 1956, raccogliendo infine tutti i versi in Palabra sobre palabra (1986). Nel 1985 ha vinto il premio Principe di Asturia e il premio Regina Sofia. È membro dell’Accademia Reale per la lingua spagnola.
da Parola su parola:
ASPRO MONDO
Perché io mi chiami Ángel Gonzáles,
perché il mio essere pesasse sulla terra,
fu necessario un ampio spazio
e un lungo tempo:
uomini di tutti i mari e di tutte le terre,
fertili ventri di donne, corpi
e altri corpi fondendosi incessantemente
in altri corpi nuovi.
Solstizi e equinozi illuminarono
con la loro luce mutante il cielo,
il viaggio millenario della mia carne
mentre si inerpica per secoli e ossa.
Dal suo passaggio lento e doloroso
dalla fuga verso la fine, sopravvivendo
naufrago, afferrando
l’ultimo sospiro ai morti,
non sono altro che il risultato, il frutto,
quello che rimane, marcio, tra i resti;
quello che vedete qui,
solo questo:
un detrito tenace che resiste
alla rovina, che lotta contro il vento,
che avanza per cammini che non portano
da nessuna parte. L’esito
di tutti i fracassi. La loquace
forza della disperazione.
*
GEOGRAFIA UMANA
Lubrica Polinesia di lunari
sul mare pulito dei tuoi fianchi.
Tropico del tabacco, del legno
rimestato dalle onde dei tuoi mari.
Nei ghiacciati circoli polari
tutta la tua superficie si riverbera...
Sotto la luce della tua primavera,
sul punto di scongelare.
I salmoni procedono nelle tue vene
rompendo meridiane e impazzendo.
Le api volano dalle tue colline.
Terreno fertile, orto di dolcezze:
tanto varia ricchezza di bellezza
pesa sulle tue spalle, che ti incurva.
*
QUELLO ERA AMORE
Le commentai:
- Mi entusiasmano i tuoi occhi.
Ed ella disse:
- Ti piacciono da soli o con il rimmel?
- Grandi,
risposi senza dubitare.
E sempre senza dubitare
me li lasciò su un piatto e se ne andò a tentoni.
*
GLOSSARIO A ERACLITO
1
Nessuno si bagna due volte nello stesso fiume.
Tranne quelli molto poveri.
2
I più dialettici, i multimilionari:
non entrano due volte nello stesso
costume da bagno.
3
(Traduzione dal cinese)
Nessuno si mette due volte nello stesso imbroglio.
(Tranne i marxisti-leninisti.)
4
(Interpretazione del pessimista.)
Nulla è lo stesso, nulla
rimane.
Meno
la Storia e la salciccia della mia terra:
si fanno entrambe col sangue, si ripetono.
*
INVITAZIONE DEL CRISTO
Disse:
Mangiate, questo è il mio corpo.
Bevete, questo è il mio sangue.
E tutto intorno si riempì di migliaia
di iene,
di vampiri.
*
Vecchio poeta incontinente
Da quella bocca secca
seguono fluendo senza dubbio sillabe
che formano parole senza senso.
A nessuno pare strano:
così – gialle, fredde –
crescono le unghie ai morti.
*
José Ángel Valente è nato a Orense nel 1929. Ha insegnato letteratura spagnola a Oxford, nominato Master of Arts. Il suo primo libro, A modo de esperanza (1953) ha vinto il prestigioso premio Adonais. L’opera in galiziano si raccoglie in Cántigas de alen. Punto cero ha vinto il premio Principe di Asturia nel 1988 e quello dedicato alla Regina Sofia.
da Punto zero:
Ho avuto un’altra libertà,
l’ho amata con un altro nome.
Tra
il desiderio e il suo oggetto c’era un tempo
riducibile a speranza.
I muri erano alti
per non vedere,
i cieli erano alti
per non vedere: il sogno
alto per non vedere
più sogni del sognato.
I semi cadevano e interravano
con quelli lo sguardo
rotondo per il frutto.
L’aria era piena
di potere e di uccelli,
la scodella materna
di profondo riposo,
la preghiera di risposta
e di luce sufficiente.
Ma non parlo di te, non parlo
di ciò che non ricordo.
È potuta durare la vita,
sicura e ripetuta,
essere promessa a dio.
E tutto
è potuto essere pasto oscuro
di un altro dio, di un altro sogno.
*
BIOGRAFIA SOMMARIA
Fece tre esercizi
di dissoluzione
e al quarto rimase solo
con lo sguardo fisso alla risposta
che nessuno poté dargli.
*
Antonio Gamoneda è nato a Oviedo nel 1931, ha pubblicato il primo libro nel 1960, poi una raccolta antologica nel 1987 dal titolo di Edad, continuamente aggiornata. Scrive in versi e prose poetiche nel bellissimo Libro del freddo (Premio Europa).
da Età:
(...)
Ma scendi, cuore, ripassa
erba segreta e cespuglio scuro
come la pianta antica del pastore.
Scendi a scrutare la trasparenza fredda,
nei boschi delle vene, senti
i ruscelli pacifici, il rumore
denso e materno del latte, ascolta
il passo prodigioso delle bestie.
Incrocia l’ombra del tuo corpo, passa
sulle impronte comunali, dormi
nel silenzio come un dio stanco
E, poi, concentrati sul sussulto puro,
sulla fresca, gloriosa sbandata
dell’acqua nella gioia, separa,
ripartita in luce, pallida spuma...
*
Non è la materia ciò che pacifica;
è la modulazione, volontaria:
il ventre solidale del coltello,
le teste indebolite, unanimi,
le sue labbra; la fisica dolcezza
che entra lentamente nel cuore e parla.
*
CANZONE DELLE SPIE
Non c’è salute, non c’è riposo. L’animale scuro viene in mezzo al vento e c’è un’estrazione di uomini da sotto i numeri della disgrazia. Fischiano i morti sulle labbra; non c’è salute, non c’è riposo. Cresce il nero barrito e disperde i fili del silenzio, e tu opponi la tua interezza, la tua leggerezza diurna e i timbri più tristi (sotto il sole incessante, con un catino di pianto, nella radice violetta dell’augurio) e le madri contrarie, la cui visione si forma nel fulmine, fanno scivolare i loro sguardi gialli nel bosco di lapidi.
Soffrono ancora gli uccelli? Tutto è insanguinato. Sordo nel fondo della musica, devo ancora insistere? C’è vigilanza nel luogo più triste della città, nei giardini interposti tra il mio spirito e la precisione funesta delle spie. C’è vigilanza nelle chiese e persecuzione nell’anima.
Guardati, allora, dalla calcificazione e dall’incesto; guardati, dico, da te stessa, Spagna.
*
Sii paziente nelle tue unghie, ah, cadavere che dormi questa notte nelle mie palpebre, salute, pietà;
ah, sii abile, abita con leggerezza l’ombra,
taci nelle mie labbra, entra nei miei anelli.
*
dal Libro del freddo:
Ho freddo vicino alle sorgenti. Sono salito fino a stancarmi.
C’è erba nera sui pendii e sui gigli lividi nell’ombra, ma, che ci faccio io, davanti all’abisso?
Sotto le aquile silenziose, l’immensità manca di significato.
Bibliografia degli autori tradotti:
- A. Costafreda, Poesía completa, Tusquets, Barcellona 1990
- C. Barral, Memorias, Península, Barcellona 2001
- J. Gil de Biedma, Retrato del artsista en 1956, Lumen, Barcellona 1991
- Biedma-Ferraté, Cartas, Sirmio, Barcellona 1991
- J. Gil de Biedma, Las personas del verbo, Seix Barral, 1982
- J.Á. Goytisolo, Poeta en Barcelona, Libros de la frontera, Barcellona 1997
- Á. Gonzáles, Palabra sobre palabra, Seix Barral, Barcellona 1986
- J.Á. Valente, Punto cero, Seix Barral, Barcellona, 1980
- A. Gamoneda, Libro del frío , Germania, Valenza 2000
- A. Gamoneda, Edad, Catedra, Madrid 1987
- Blas de Otero, Ancia, Visor, Madrid 1997
- C. Barral, Poesía completa, Lumen, Barcellona 1998
- J. Gil de Biedma, El pié de la letra, Critica, Barcellona 1980
Bibliografia critica :
- C. Riera, La escuela de Barcelona, Anagrama, Barcellona 1988
- D. Torres Fierro, Estrategias, Seix Barral, Barcellona 1994
C. Riera, Partidarios de la felicidad, Círculo de Lectores, Barcellona 2000
Ultramort è un toponimo.

Laye è il nome iberico e preromano di Barcellona


(Nuovi Argomenti N.31/2005)

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